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09/09/2006, una data scolpita nella storia. La Juventus, all’esordio assoluto in Serie B dopo lo scandalo Calciopoli, passa in vantaggio con Paro, che porta in vantaggio i bianconeri sfruttando una respinta sul tiro di Nedved sugli sviluppi di un calcio d’angolo. Allo Stadio Romeo Neri, vestito a festa per uno degli appuntamenti più importanti della sua storia, però, c’è aria di impresa, nonostante un Rimini in dieci per l’espulsione di Cristiano. Fino a quando, sul cronometro, non scocca il minuto 74. Ennesima incertezza in difesa per Boumsong, che sbaglia il tocco per Kovac e spiana la strada a Ricchiuti, abile ad insinuarsi come un folletto tra le maglie larghe della retroguardia bianconera. L’argentino, a tu per tu con Buffon, non sbaglia e agguanta un pareggio entrato, per ovvie ragioni, negli annali del calcio.
A farsi beffe dei neo campioni del mondo Buffon, Del Piero e Camoranesi e del finalista Trezeguet proprio Adrian Ricchiuti, argentino trapiantato in Italia dopo il suo passaggio alla Ternana nel lontano 1992. L’ex Genoa ha ripercorso la sua carriera ai nostri microfoni: dal gol alla Juventus fino alla vittoria del suo Catania contro l’Inter del Triplete, concludendo con un’analisi sul momento attuale della squadra nerazzurra alla vigilia di Genoa-Inter.
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Un argentino trapiantato in Italia. Qui hai trovato la tua dimensione ideale?
“Si può dire che sono più italiano che argentino. Sono arrivato qui a 12 anni, la mia vita l’ho vissuta in Italia e mi sento ormai italiano. Anche se, ovviamente, non dimentico dove sono nato, cresciuto e dove ho mosso i primi passi”.
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Sei passato dal Forano alla Ternana per 20 palloni. Avresti mai immaginato, a quei tempi, di raggiungere la Serie A e di giocare in realtà importanti del nostro calcio?
“E’ il sogno di ogni bambino, il mio sogno. Poi per arrivare ad un certo livello ho fatto tanti sacrifici e ci ho creduto fermamente. Grazie a Dio ce l’ho fatta, credo che sognare sia la cosa più bella quando sei piccolo. Non è facile, in tanti ci provano, ma a livello di testa devi essere pronto a fare sacrifici, la gente sbaglia quando dice che per giocare a calcio non servono. Come in tutti i lavori, per distinguerti e realizzarti devi metterti in gioco con tutto te stesso”.
Due anni al Genoa, poche presenze per te. Cosa è andato storto?
“Assolutamente niente. Il primo anno non siamo andati in Serie A per un punto, la squadra era fortissima. Ho fatto due presenze, ma le panchine mi hanno formato caratterialmente e a Genova mi ricordano tutti con grande affetto. L’anno dopo è cambiata la società, sono cambiate tante cose e ho preferito andare a giocare con maggiore continuità. Per me è stata la scelta migliore”.
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Con il Rimini un gol indimenticabile, quello alla Juventus al debutto assoluto dei bianconeri in Serie B. Cosa hai pensato quando il pallone è scivolato in rete?
“Cosa ho pensato? Soprattutto che avevamo raggiunto il pareggio, questa è la cosa più importante. Una girandola di emozioni, perché ti ritrovi davanti tutti questi campioni, alcuni addirittura freschi vincitori del Mondiale come Buffon, Del Piero, Camoranesi e altri che avevano perso la finale come Trezeguet. La Juventus che veniva a giocare per la prima volta in Serie B a Rimini, il clima di festa per tutta la settimana, la gente che dormiva fuori dallo stadio soltanto per comprare un biglietto: tutto un insieme di cose che hanno reso incredibile quel giorno. In più ho fatto gol io, per me una soddisfazione doppia. Contentissimo perché sono emozioni che Rimini, dopo il Presidente Bellavista, non aveva più vissuto”.

Poi il passaggio al Catania e il debutto in Serie A. Stagione culminata con la vittoria contro l’Inter del Triplete. Un’altra bella soddisfazione, no?
“Esordire in Serie A è un’emozione unica, perché vuol dire avercela fatta. Anche se dico sempre ‘Esordire è bello, ma ciò che conta è dare continuità perché solo così puoi dire di aver giocato in Serie A’. Ci sono tanti ragazzi che hanno esordito, ma il difficile è rimanere a certi livelli. La partita con l’Inter è stata un’emozione unica, potevo anche fare gol. Loro avevano una squadra straordinaria ma quel Catania, soprattutto in casa, non aveva paura di nessuno. Quattro anni fantastici in Sicilia prima che succedesse quello che tutti sappiamo. Il Triplete? Dal campo, prendendo in esame quella partita, non lo avrei immaginato, però era un’Inter forte e aveva un allenatore-motivatore incredibile come Mourinho. Una squadra che vince tutto vuol dire che ha il fuoco dentro, c’è poco da fare. Non si porta a casa un trofeo per semplice casualità o fortuna“.
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Il Catania di Bergessio, Barrientos e Gomez. Un tridente a tratti devastante. In Serie A c’era anche il Palermo, quanto è strano vedere due realtà così importanti del calcio siciliano e, in generale, italiano, arrancare nelle serie minori?
“La vita è strana, in poco tempo due club così importanti andati allo sbaraglio. Le società stanno provando a ripartire, ma non è facile oltretutto in un girone, quello del Sud, che io reputo il più difficile in assoluto. La storia insegna quanto è complicato ritornare nel calcio che conta. Il passaggio dalla Serie D alla Serie C è fattibile, i problemi iniziano dalla Serie C in poi”.

Sabato Genoa-Inter. I rossoblu hanno qualche speranza in un momento in cui i nerazzurri sembrano aver perso un po’ la bussola?
“Sono sempre del parere che chi gioca contro l’Inter non ha grandi speranze. Sono realista, un mio ex compagno mi ha sempre insegnato che una piccola deve giocare al 110% per vincere contro una grande, a una grande basta giocare al 50%. E’ la realtà, l’Inter ha tanti campioni in rosa che, in qualsiasi momento, possono risolverti la partita. Assenze? Quelle sono soltanto scusanti, i componenti della panchina nerazzurra potrebbero giocare da tutte le parti”.
Derby ed esordio in Champions League decisi dagli errori di Kolarov e Vidal, due tra i più esperti della rosa dell’Inter. Come te lo spieghi, manca soltanto un po’ di tranquillità?
“Serve sicuramente un po’ di tranquillità, ma a Kolarov non manca sicuramente l’esperienza per riprendersi. E, per quanto riguarda Vidal, negli ultimi anni non è sicuramente il giocatore che abbiamo imparato a conoscere tutti. Ancora gli manca qualcosa per ritornare ai livelli di prima. Al Barcellona non ha fatto sfracelli, però si tratta di giocatori che hanno fatto e continuano a fare la storia. Con Conte potrebbe trovare il suo riscatto“.

Lukaku ancora una volta decisivo. Sei gol in cinque partite per il belga, l’Inter deve aggrapparsi ai suoi gol per riprendersi?
“Lukaku è un animale, è tra i tre attaccanti più forti al mondo. Per lui parlano i numeri, ripeto è un animale. Vanno fatti i complimenti a Conte che lo ha voluto a tutti i costi, ora capisco perché ha insistito così tanto”.

Ritornando a te, hai davvero finito con il calcio giocato? Progetti futuri?
“Con il calcio giocato ho finito definitivamente. Ora ho intrapreso un altro percorso, alleno i bambini a Rimini e il mio sogno è quello di allenare, un giorno, una squadra di grandi, anche in Serie D”.